“Dove finisce la tradizione, lì inizia l’innovazione”: c’è da crederci? Pare di no. O almeno, non più. Il mondo proiettato al New Normal sembra insegnare ormai un’altra storia: per vincere la sfida del mercato, della competizione e di una società in continuo divenire, il “vecchio” non può più restare uguale a sé stesso. Se vuole rinascere, deve farlo grazie al “nuovo”, perché solo l’amalgama dei due ingredienti può essere la ricetta vincente del futuro.

Ma cosa significa mirare al nuovo? E soprattutto, qual è il “nuovo” capace di fare davvero la differenza in settori chiave per la nostra economia, come ad esempio il manifatturiero?
Se da un lato il comparto resta saldamente ancorato a principi e produzioni di impronta tradizionale, dall’altro sono proprio gli elementi di novità a rappresentarne oggi le leve competitive più spendibili nel difficile scenario economico.

Oggi, di questo siamo tutti consapevoli, il manifatturiero non può più fare a meno di ragionare in termini di innovazione digitale, di digital transformation.
Ciò su cui forse c’è meno consapevolezza è che oggi esiste un nuovo fattore strategico, ma di valore altrettanto cruciale: la sostenibilità.

Un valore agli occhi del consumatore finale

La sostenibilità è un valore immateriale. Ma, allo stesso tempo, immensamente concreto. È un desiderio, un’esigenza, ma anche una necessità e una fonte di profitto. Ma come può una leva di impronta tanto impalpabile e “soft” incidere in modo così determinante sul mondo “hard” delle imprese di produzione?

Partiamo dalla visuale di più ampia portata: quella del consumatore finale. Garantire una produzione fondata su processi sostenibili è una leva strategica chiave nei confronti del pubblico, soprattutto in un mondo in cui i valori della responsabilità ambientale e sociale sono sempre più sentiti. Immaginate di entrare in un negozio e di addentrarvi nella corsia dei prodotti “green”: sceglierli, per molte persone, può fare la differenza, offrendo una gratificazione che – in termini di business – si traduce in un acquisto ragionato e consapevole. Quindi doppiamente importante.

Una leva cruciale anche per il business

Ma c’è di più. il valore della sostenibilità è ormai universalmente riconosciuto come un pilastro essenziale del mondo che verrà. Le stesse Nazioni Unite, nei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile che compongono l’Agenda 2030, sottolineano l’essenzialità di questo approccio per dare un futuro al pianeta e migliori condizioni di vita alla popolazione mondiale.

Svincolandosi dalla visione più consumer, sostenibilità è dunque una leva strategica anche in termini di business. Sempre di più. Secondo l’analisi della World Manufacturing Foundation (fondazione che annovera tra i fondatori promotori Confindustria Lombardia, Politecnico di Milano e IMS, con lo scopo di generare e diffondere cultura a livello globale sul settore manifatturiero, considerato un “generatore di ricchezza ed equilibratore sociale”), accanto alla digitalizzazione, è proprio la sostenibilità la carta da giocare oggi e nei prossimi anni per lo sviluppo del manifatturiero. Un comparto che potrebbe rivelarsi determinante proprio nel percorso di fuoriuscita dalla crisi dovuta alla pandemia.

Il Piano Strategico 2020-25 della Fondazione, stilato con il contributo di 150 esperti che, da ogni parte del mondo, hanno inviato le proprie opinioni, contribuendo a delineare le azioni e le best practice per affrontare le sfide dei cambiamenti in atto nel settore manifatturiero, definisce le linee considerate cruciali per il prossimo futuro: diffusione di valori quali sostenibilità, apertura, eccellenza, approccio globale e mentalità orientata al domani, per promuovere cultura industriale e migliorare la competitività del settore manifatturiero.

Sostenibilità fra le linee guida per i prossimi decenni

L’analisi sull’importanza di sostenibilità e digitale in tutti i settori e dunque anche nel manifatturiero ha profonda attinenza anche con i pillar di sviluppo individuati dall’Unione Europea, tra i quali spiccano il “green deal” e la valorizzazione dell’innovazione come driver economico fondamentale.
Valori che – trasferiti sul piano aziendale – si traducono in trasferimento tecnologico, ricerca e sguardo verde sulla produzione: tutte carte che il manifatturiero non può più permettersi di non giocare.

Davanti alle opportunità che il Recovery Fund apre alle imprese, “noi non chiediamo sussidi, ma di essere messi nelle condizioni di competere al pari dei partner europei – ha dichiarato a tal proposito Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia -. Dobbiamo liberarci dei fardelli, reinventarci in funzione di nuovi scenari globali. La forza delle imprese da sola non basta, serve un supporto, la visione strategica di un Paese moderno attraverso investimenti mirati, capaci di promuovere l’innovazione. La digitalizzazione e sviluppo sostenibile saranno le linee guida dei prossimi decenni”, ha aggiunto Bonometti.

Un esempio concreto: la tecnologia cloud

Ma nel concreto, in che modo la sostenibilità può rivelarsi una leva competitiva vincente per le imprese di produzione? Gli esempi sono innumerevoli, ma uno può esemplificarli al meglio per la sua portata in termini di innovazione e di valori: l’uso del cloud.

In un momento in cui le tematiche ambientali diventano centrali e urgenti anche nelle agende dell’Onu e dell’Unione Europea, il cloud si rivela infatti tecnologia abilitante per lo sviluppo circolare delle realtà del manifatturiero.

Il cloud porta con sé un carico di benefici operativi capaci di riversarsi sul business: agilità, accesso a risorse computazionali e di storage pressoché infinite, risparmio economico. Ma anche abilitazione di nuovi processi e di una digital transformation diffusa.

Meno frequente è sentire parlare di cloud in relazione a tematiche di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico. E invece, così è: tra le tecnologie che negli ultimi anni sono evolute proprio nella logica Sustainability, il cloud oggi occupa un posto di assoluto rilievo.

Usare il cloud può consentire all’impresa manifatturiera, ad esempio, di ridurre i consumi energetici: scegliere di realizzare un datacenter “in house” significa infatti garantire alimentazione costante per i server, installare un sistema di raffreddamento per evitare il surriscaldamento, prevedere le attività di smaltimento degli apparati che giungono a fine vita, secondo quanto previsto dalle normative per i rifiuti elettronici.
Tutti oneri che vengono spostati sui provider, a loro volta sempre più attenti a introdurre logiche di sostenibilità e risparmio nei propri datacenter.
Ma anche l’approccio stesso su cui si fonda il cloud può avere effetti sostenibili: il cloud computing si basa infatti sul concetto di condivisione dei servizi e, di conseguenza, di massimizzazione dell’efficacia delle risorse.

Un percorso che deve coinvolgere tutta la filiera

In un’ottica di sviluppo sostenibile, l’azienda di produzione – anche di settori considerati tradizionali, come quello industriale –  ha quindi il dovere di considerare il cloud come un’opzione concreta e plausibile: da un lato questa tecnologia consente infatti di innovare l’impresa tramite percorsi di digital transformation, aumentandone l’efficienza e riducendone gli sprechi; dall’altro consente di accentrare le infrastrutture Ict, riducendo di conseguenza  il loro impatto sulle emissioni di CO2 globali.
Il tutto a beneficio di un percorso sempre più orientato non solo alla decarbonizzazione, ma anche al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, fra cui l’industrializzazione a basso impatto, la realizzazione di edifici efficienti dal punto di vista energetico, lo smart manufacturing.
Esattamente la stessa direttrice lungo la quale si muove il paradigma dell’Industria 4.0 che combina smart operations e produzione intelligente con tecnologie digitali, intelligenza artificiale (AI) e Internet of Things (IoT).

Obiettivi di business e sostenibilità ambientale, dunque, non si escludono, ma anzi si sostengono vicendevolmente. E gli obiettivi non devono fermarsi al solo risparmio energetico, ma coinvolgere ogni aspetto della produzione. Un esempio? Grazie ai sensori e ai sistemi di filtraggio intelligenti, ad esempio, è possibile rilevare anomalie nella presenza di sostanze chimiche, tossiche o inquinanti, consentendo di adottare automaticamente e per tempo misure a protezione della salute e del benessere dei lavoratori della fabbrica.
Ma ancora non basta.
La vera sfida, in realtà, è quella di non limitare lo sguardo alla sola fabbrica o alla linea di produzione. La trasformazione deve estendersi a tutta la supply chain, coinvolgendo fornitori e partner logistici nel rispetto degli stessi principi di sostenibilità.

La visione di Cisco

Da sempre Cisco è convinta che l’innovazione tecnologica porti con sé anche l’opportunità per le imprese di ridurre il loro carbon footprint e non a caso ha investito su alcune delle tecnologie a più rapida crescita, dall’Internet of Things alla sicurezza, facendone leve di efficienza e sostenibilità per le imprese. A partire da sé stessa.
La sostenibilità è ora un driver significativo e rappresentativo del valore aziendale.
Cisco ha fatto del proprio approccio alla sostenibilità una best practice, riconoscendovi un reale valore e una concreta opportunità per il business: nel 2017 ha varato un piano quinquennale, che prevedeva la riduzione del 60% delle emissioni di gas serra e di ottenere l’85 percento della sua elettricità da fonti rinnovabili entro il 2022.

Inoltre, promuovendo da tempo i paradigmi dello smart manufacturing, delle connected factory e delle connected machine, Cisco sta di fatto accompagnando le imprese verso una trasformazione sostenibile.
In una connected factory, infatti, i sensori a bordo macchina e le reti di fabbrica abilitano una raccolta dati granulare, dalla quale deriva una maggiore comprensione delle operation, sotto tutti gli aspetti, incluso l’impatto ambientale.

Poche settimane fa, nel corso di una tavola rotonda dedicata proprio ai temi della sostenibilità e dell’economia circolare, Agostino Santoni, Vice President Sales Europe, sosteneva: “Penso che il 2021 sarà un anno straordinario per l’IoT e la sostenibilità. Proprio la scorsa estate in Europa è stato varato il più grande pacchetto di sostegno alla transizione green del mondo. L’IoT è al centro della nuova economia energetica verde e sostenibile”.

Concretamente, Cisco sta progettando le proprie soluzioni già in un’ottica future ready, per garantirne un ciclo di vita più lungo.
I nuovi router per ambienti industriali, ad esempio, supportano sia LTE sia 5G in modo modulare: questo significa che, in base al caso d’uso o alla disponibilità di rete, gli utenti potranno cambiare soltanto il modulo di connettività, senza dover sostituire l’intero apparato.
L’approccio modulare al design consente infatti di evitare l’acquisto di nuovi dispositivi ogni volta che si verifica un guasto o le esigenze cambiano: aggiornando o riparando solo i singoli moduli, i clienti prolungano la durata del prodotto, riducono i materiali che vengono smaltiti prematuramente e aiutano a risparmiare risorse.
I ruouter industriali di nuova generazione, pensati per l’Industrial Internet of Things, sono progettati per ridurre il consumo di energia inattiva del 45% rispetto alla generazione precedente e del 35% a pieno carico. Su un ciclo di vita di 5 anni significa una importante risparmio energetico e una conseguente riduzione nelle emissioni.

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