Rowan Trollope, oggi Senior Vice President and General Manager, IoT and Applications di Cisco, è il “padre” di Spark, il sistema cloud che ha unificato la frammentata offerta di business communication di Cisco. Visti i risultati ottenuti in ambito Communication, il CEO della società Chuck Robbins ha affidato a Trollope anche il business Internet of Things, in cui Cisco sta investendo miliardi, come dimostrano le acquisizioni di Jasper e AppDynamics. Un business fondamentale nella strategia che Cisco sta portando avanti per ampliare il proprio ruolo al di là della consolidata leadership nell’hardware per le infrastrutture di rete: ne abbiamo parlato con Trollope in questa intervista.

Secondo Cisco la digitalizzazione comincia dall’infrastruttura, ma le reti classiche non possono supportare la trasformazione digitale: come deve essere un network “digital ready”?

Occorrono reti a più bassa latenza: pensiamo alle applicazioni IoT tra automobili in movimento. Questo problema è in parte risolto dalle reti wireless 5G, ma le reti cellulari non possono reggere i volumi di traffico che l’IoT genererà, e per questo saranno utili anche Wide Area Network a bassa energia (low power). Poi c’è il problema enorme della sicurezza: è assurdo che una webcam o un sensore di temperatura abbiano gli stessi diritti di accesso a internet di un pc o uno smartphone, occorrono tecnologie, standard, regolamenti, policy.

Ma la criticità principale è l’enorme volume di dati generato da oggetti smart e sensori. Per questo occorre spostare più capacità di elaborazione verso i confini della rete (edge), in modo da mandare verso i nodi centrali delle infrastrutture informazioni già “lavorate”: quindi un modello “distributed computing” con capacità elaborativa a ogni livello della rete. E per questo occorrerà introdurre automazione. Le reti di oggi sono configurate manualmente, ma questo funziona quando il numero di device è dello stesso ordine di grandezza del numero di persone (people scale), cioè fino a quando i device sono usati da persone. Con l’IoT però occorre supportare la connettività tra macchine, tra sensori, non più miliardi di connessioni ma migliaia di miliardi: senza automazione software-driven, le reti non possono reggere. E poi servono analytics, assolutamente fondamentali per monitorare le performance e individuare le minacce.

Si parla tantissimo di digitalizzazione, ma è un mercato enorme, e il quadro dell’offerta è ancora molto fluido e confuso. Quale ruolo vuole ricoprire Cisco in questo mercato?

Vogliamo essere la connectivity fabric di riferimento per ogni produttore di device che si connettano a una rete. Con l’IoT ci sono tutti questi dati dentro oggetti smart e sensori: noi abbiamo lo strato di connettività che trasporta i dati dal device al cloud, e poi eventualmente dal cloud di nuovo al device, una volta elaborati e trasformati dalle applicazioni in cloud. Per ottenere questo obiettivo dobbiamo connettere in modo ottimale il nostro strato di networking da una parte ai device, e dall’altra al cloud. Quindi stiamo lavorando da una parte con i fornitori di IaaS (Amazon, Microsoft, ecc.) per offrire dei preconfigurati. Quando stai scrivendo una app di IoT in cloud, devi poter avere accesso alla connectivity fabric per dire: attiva questo servizio, disattiva quell’altro, dov’è quel tale device, quale tipo di traffico sta inviando.

Dall’altra parte abbiamo acquisito AppDynamics per collegare lo strato infrastrutturale con quello applicativo, fino addirittura all’utente. Non c’è più distinzione tra l’applicazione e il business che supporta: l’applicazione è il business. Per questo vogliamo alimentare gli analytics sulle applicazioni con dati provenienti dal livello infrastrutturale: per “chiudere il cerchio”. Se ho un’app IoT che carica lentamente una pagina di conferma, gli sviluppatori “vedono” la lentezza sul front end ma non sanno la causa, gli specialisti di networking vedono che c’è un nodo “lento” ma non conoscono l’impatto sull’utente finale. Il nostro obiettivo è collegare gli application analytics ai network analytics, tutto su una dashboard che mostra le performance dal punto di vista dell’utente finale.

Cosa state facendo più in dettaglio per aiutare le organizzazioni utenti ad affrontare i complessi progetti di digitalizzazione, e in particolare di IoT?

Parlo molto con i nostri clienti, e il principale ostacolo per chi è interessato alle applicazioni IoT oggi è la complessità dello stack di tecnologie da padroneggiare. Per ora vediamo molte iniziative ma in gran parte sperimentali, proof of concept, eccetera. Il passaggio a un’implementazione che coinvolga davvero tutti i device interessati è molto difficile. Il secondo problema è la sicurezza. Un’iniziativa IoT apre una gamma di problematiche in parte completamente nuove, in parte fortemente amplificate dal numero di device. Parliamo di dati personali, privacy, dati industriali sensibili, monitoraggio di tutti i software e firmware in termini di vulnerabilità, aggiornamenti, di come e con quali sistemi aziendali siano collegati i sensori e i device, eccetera.

Il terzo problema è il change management, perché l’IoT richiede profondi cambiamenti di processi, organizzativi, di competenze. E si sa che circa il 70% dei progetti di trasformazione interna fallisce.

Il nostro obiettivo è ridurre questi ostacoli il più possibile. Per quanto riguarda lo stack tecnologico, dobbiamo semplificare il più possibile la gestione di ambienti del genere, e per farlo dobbiamo allearci. Dobbiamo fare partnership con i produttori di chip, i fornitori di servizi cloud, gli specialisti di security, eccetera, per configurare dei pacchetti semplicissimi da usare e gestire, e dare ai clienti dei “blueprint”, delle best practice di come portare avanti i progetti di trasformazione digitale e di IoT.

In generale faremo molte alleanze, perché c’è un intero stack di nuove tecnologie che sta emergendo per l’IoT, e un solo vendor non può coprirle tutte. Il ruolo dei partner di canale poi diventa ancora più importante, perché l’offerta di soluzioni tecnologiche di IoT deve essere fortemente verticale: deve essere calibrata sulle caratteristiche di un dato settore. Le piattaforme IT che si sono più affermate negli anni sono invece tipicamente orizzontali, trasversali ai singoli settori. Per questo i partner di canale saranno anche più importanti di prima: ci aiuteranno a costruire soluzioni molto verticali, e a connetterle alle piattaforme e ai sistemi esistenti.